Sulle attività significative per la compromissione e il deterioramento di beni protetti nel reato di inquinamento ambientale.

 di Giovanni Palmieri, Avvocato (Foro di Roma) 

Con la sentenza in epigrafe segnalata, la Corte di legittimità è stata chiamata a pronunciarsi su un’ordinanza di rigetto del Tribunale della libertà di Salerno, in una vicenda in cui si contestava all’indagato di aver cagionato una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino attraverso la pesca abusiva di corallo rosso mediterraneo.

Tale attività veniva svolta in assenza di titolo abilitativo, con modalità vietate consistenti nella pesca subacquea con uso di bombole e un metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso, sebbene il corallo rosso mediterraneo (corallum rubrum) sia una specie importante dell’habitat coralligeno, considerato specie a rischio di estinzione e di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Ce 92/43. Il ripristino di condizioni analoghe a quelle precedenti all’attività di prelievo clandestino si stima in un ciclo vitale che ha durata pari a 50 anni. 

Il ricorrente, nel caso di specie, tra gli altri motivi, censurava l’inquadramento giuridico del fatto nella fattispecie di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.), considerato che non sarebbe configurabile alcun danno, data l’esiguità del corallo, pari a meno di 3 kg e trovando applicazione piuttosto il D.M. 21 dicembre 2018 del Ministero delle politiche agricole e alimentari, disciplinante le modalità della pesca del corallo e le sanzioni in caso di pesca in assenza di licenza. 

La Corte di Cassazione sin dalle prime applicazioni della fattispecie di cui all’art. 452 bis c.p., introdotta con la legge n. 68/2015, collocata nel libro II del codice penale, titolo VI bis, tra i “Delitti contro l’ambiente”, ha chiarito che trattasi di norma posta a tutela dell’ambiente, qualificabile come reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento. 

La previsione normativa punisce chi cagiona abusivamente una “compromissione” o un “deterioramento”, che debbono essere “significativi” e “misurabili”, del bene ambiente. 

La giurisprudenza di legittimità ha aggiunto che la compromissione e il deterioramento consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della consistenza originaria dell’ecosistema o della matrice ambientale. 

Tale alterazione, nel caso della compromissione, consiste in una condizione di squilibrio funzionale che incide sui processi naturali (sez. III n. 46170 del 21 settembre 2016 – dep. 3 novembre 2016) e che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (sez. III n. 15865 del 31 gennaio 2017 – dep. 30 marzo 2017, Rizzo); nel caso del deterioramento, consiste in una condizione di squilibrio “strutturale”, collegato al decadimento dello stato o della qualità degli stessi, con una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne parzialmente l’uso ovvero da rendere necessaria un’attività non agevole per il ripristino. 

Quanto alle azioni realizzate successivamente all’iniziale compromissione o deterioramento del bene: esse non rappresentano un post factum non punibile ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che muovono in avanti la cessazione della consumazione, fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili oppure comportano una delle conseguenze tipiche previste dal reato di disastro ambientale di cui all’art. 452 quater c.p. 

Con tale sentenza è stato precisato che l’evento costituito dalla compromissione o dal deterioramento dei beni protetti può assumere un sufficiente carattere di “significatività” anche nel caso di attività seriali, ripetute nel tempo che, isolatamente considerate, siano prive di tale caratteristica. 

Ne consegue che, quando lo standard di “significatività” è stato raggiunto, con conseguente consumazione del reato, le condotte successive, per un verso, incidono sulla gravità dell’unico reato e sono valutabili ai fini di cui all’art. 133 c.p.; per altro verso, spostano in avanti il momento di consumazione del reato e il “dies a quo” da cui far decorrere il termine di prescrizione, ferma restando, ricorrendone i presupposti, l’eventuale configurabilità del più grave reato di disastro ambientale ex art. 452 quater c.p.

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