Sulla promessa o la corresponsione di denaro per la menomazione fisica della persona offesa che accetti di subire lesioni volontarie allo scopo di compiere una frode ai danni di un’impresa di assicurazione.
di Giovanni Palmieri, Avvocato (Foro di Roma)
Con la sentenza cui si dedica questo breve commento, la Corte di legittimità è intervenuta su un caso di lesioni personali volontarie (art. 582 c.p.) che la persona offesa accettava di subire al fine di realizzare una frode in danno all’impresa di assicurazione.
Il Tribunale del Riesame di Palermo confermava la custodia cautelare dell’indagato per aver concorso nel delitto di lesioni personali pluriaggravate in danno della persona offesa (colpita con una mazza di ferro alla caviglia, con frattura scomposta del malleolo e del perone, cui conseguiva una inabilità temporanea superiore a 40 giorni).
Il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza eccependo, con riguardo all’esclusione del consenso dell’avente diritto, l’erroneità del richiamo all’art. 5 c.c. dal momento che le lesioni non hanno avuto esiti permanenti. Inoltre, la possibile sussistenza del reato di cui all’art. 642 co. 2 c.p., dal momento che la vittima già in precedenza si era prestata ad analoga truffa ai danni dell’assicurazione, escludeva possibili vizi del consenso. Con conseguente applicabilità della causa di giustificazione di cui all’art. 50 c.p., anche in considerazione della possibilità che la persona offesa avrebbe potuto autoinfliggersi le lesioni.
La questione sulla quale la Cassazione ha focalizzato la sua attenzione riguarda l’operatività della causa di non punibilità rappresentata dal consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), considerato che il Tribunale del riesame aveva escluso la rilevanza scriminante del consenso a norma dell’art. 5 c.c. secondo cui “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.
La Carta Costituzionale ha portato ad un’evoluzione del concetto di corpo umano. Mentre prima il corpo doveva considerarsi “oggetto di diritti”, attributo ed espressione della personalità, si è affermata successivamente una visione sociale e funzionale dell’essere umano maggiormente aderente ai principi di cui agli artt. 2,3, 13 e 32 della Costituzione.
Si è dunque assistito ad una espansione del concetto di “salute” e d’altro canto alla valorizzazione del concetto di “libertà personale”. Secondo la definizione data anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute non significa solo assenza di malattia ma è una condizione di benessere fisico, mentale e sociale in cui assumono valore preminente anche i diritti di libertà e disposizione del proprio corpo.
Tuttavia, tale nuova visione costituzionalmente orientata e socialmente funzionale all’evoluzione dei tempi, trova un limite nel generale divieto di fare del corpo umano o delle parti che lo compongono “una fonte di profitto” (art. 21 Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti e della dignità dell’uomo) e nel diritto di ogni individuo all’integrità fisica e psichica (art. 3 Trattato di Nizza; art. 1 punto 8, Trattato di Lisbona TUE).
In forza di tali principi, parte della dottrina, in relazione a casi di autolesione, ha ritenuto che tali atti debbono considerarsi illeciti nel caso in cui siano lesivi di interessi di terzi estranei, come nell’ipotesi di autolesione per frodare un’assicurazione.
Prevale dunque una lettura “mite” e costituzionalmente orientata dell’art. 5 c.c. attraverso la quale da un lato vengono valorizzati i diritti fondamentali dell’individuo, dall’altro essi vengono limitati dalla clausola dell’ordine pubblico, del buon costume e dell’abuso del diritto che operano come ostacolo a tutti gli atti di disposizione del proprio corpo inaccettabili secondo i parametri costituzionali.
Ne consegue che la mercificazione del corpo, attraverso la promessa o la corresponsione di denaro per la menomazione fisica o l’abuso del corpo per fini di illecito vantaggio consistente nella menomazione per compiere un atto illecito e/o fraudolento, non consente l’operatività e conseguente applicazione della scriminante del consenso ex art. 50 c.p.
Il consenso non validamente prestato, come nell’ipotesi di grave lesione inferta allo scopo di frodare l’assicurazione, non ha alcuna capacità esimente del reato e della responsabilità penale del soggetto agente.
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